venerdì 2 dicembre 2016

La corrispondenza di Giuseppe Tornatore (2016)



Subito, mentre ancora scorrevano titoli di coda, mi è venuto da pensare che il titolo più azzeccato per questo guazzabuglio avrebbe potuto essere Dead man stalking.

Amy Ryan (Olga Kurylenko) è una studentessa fuori corso che fa la stuntwoman e, evidentemente attratta dal rischio, intrattiene una relazione con Ed Phoerum (Jeremy Irons), il suo non giovane professore di astrofisica. Lui ama stupirla con scherzose premonizioni e, nell’intensissima corrispondenza che intrattiene con lei, si firma “il mago”.
Ebbene, il mago a un certo punto scompare, ma lascia dietro di sé – come le comete che studia – una scia di messaggi (lettere, mail, video, regalini, sms, …) che, opportunamente distribuiti secondo un piano di consegne maniacalmente puntiglioso, arrivano a costellare le ore di solitudine della desolata fanciulla (ma anche, sia detto, a piantarle intorno paletti che la intrappolano dentro il suo incancellabile ricordo).

Viene facile dileggiare un soggetto così intricato e scombinato che vuole far sembrare romantico un maturo amante ostinatamente geloso che pretende alla lettera il rispetto, a futura memoria, dei giuramenti amorosi (“tua per sempre”). Anche se la cronaca ci ha abituati a tutto, appare poco credibile un soggetto (evidentemente insicuro) molesto al punto di macchinare, nei pochi mesi del suo tracollo fisico, un’intricatissima sceneggiata (coinvolgendo, oltretutto, una miriade di comparse inspiegabilmente condiscendenti tra familiari e colleghi accademici, avvocati e locandieri, spedizionieri e barcaioli).
Così come sarebbe spassoso spulciare e virgolettare alcune battute improbabili (al cui confronto le frasette dei baci-perugina paiono scritte da Balzac); o rilevare e sottolineare certe trovate assurde (come il cane, la foglia fremente e l’uccello, reincarnazioni di Ed);  o stigmatizzare l’inserimento di personaggi improbabili (come il barcaiolo stralunato); o ironizzare (perfino) sulla colonna sonora che fa da tappetino ruffiano a queste improbabili romanticherie funeree.
C’è una frase nel film – excusatio non petita – che sorprende per la sua sconcertante trasparenza: ed è quella con la quale un personaggio, non ricordo quale, bolla il corteggiamento postumo definendolo un intrigo folle “buono per la quarta di copertina di un romanzetto di fantascienza”. Perché di questo si tratta: fantascienza alla Liala, con seduzioni, innamoramenti, milieu borghese, figlie gelose (e incoerenti), sensi di colpa, location da turismo charmant.
C’è perfino un momento in cui (inconsapevole autogol) si sente sullo sfondo un brano dei Depeche Mode che - ho controllato – proclama, dentro un film verbosissimo, l’inutilità delle parole e la ineffabilità del silenzio (Words are very unnecessary … words are meaningless … Enjoy the silence … id est: Le parole sono del tutto superflue … non hanno significato …  Goditi il silenzio). 

Nel film si alternato tre tipi di inquadratura: quelle in cui – monitor dentro schermo – l’infelice dialoga con le immagini dell’ormai intoccabile amante; i primi piani del bel volto stupefatto o lacrimevole di Amy; e le cartoline dal lago d’Orta (con paesaggi riflessi) o di Edimburgo o del Tirolo. Più qualche nudo, che non guasta mai.
Le ambientazioni sono insolite per Tornatore che, da stanziale della macchia mediterranea, qui si fa migratore. Insolite ma necessarie. Se la storia si fosse svolta in Sicilia, quanto sarebbe durata l’asettica finzione? Dove avrebbe trovato Ed morituro la complicità e la riservatezza necessarie per allestire il teatrino della separazione procrastinata?
E, sempre a proposito di ambientazione, che idea cretina è quella di ribattezzare con nome harrypottiano (Borgo Ventoso!) la bella isoletta rodariana di San Giulio?

La ragnatela che ingabbia la fragile protagonista (che si presta anche a posare per uno scultore in asfissianti calchi total-body) soffoca anche il film che si avviluppa in se stesso e non riesce a decollare. Lo spettatore è catturato (lui, dico, non la sua emotività) e invischiato in un pantano melò dal clima intimistico irrespirabile. Solo alla fine, dopo oltre due ore di apnea (che sembrano dodici), si apre uno spiraglio che ci fa sperare nell’affrancamento della studentessa plagiata (che si allontana – altra immagine scontata – verso il suo avvenire).

La storia (non nuova) di un amore che vuole superare i limiti della natura, qui oltrepassa anche i limiti della sopportazione. I commiati, per la contraddizion che nol consente, non possono durare ad oltranza. E l’elaborazione del lutto, per essere tale, prevede tempi elastici ma non illimitati.
Ed, che fa il seduttore anche dopo morto, è uno stregone che non incanta nessuno.
Mi vien da pensare che questo filmetto sia il grottesco specchio dell’attore e del regista che – come certe stelle – brillano a carriera estinta.

PS 1
A margine, ci si può chiedere anche perché in un film che si sviluppa tutto intorno alla comunicazione tecnologicamente avanzata siano presenti dei portatili sempre impallati (che si disinceppano con vigorose pacche, come  i distributori di sigarette) e che la giovane Amy non sia in grado di silenziare il suo cellulare che squilla nei momenti più inopportuni.

PS 2
Un’idea, nel film, ha stuzzicato la mia curiosità. Ma non so se sia mai stata nelle intenzioni consapevoli del suo autore o se non sia invece il prodotto abusivo delle mie arbitrarie distillazioni: ed è l’immaginare che un amore 2.0 (declinato e nutrito con i nuovi social) possa illudersi di aspirare alla soprannaturalità e ambire di “incarnarsi” nell’universo digitale con utopie di immortalità, millantando qualche chance in più rispetto agli amori di tutti i tempi, alimentati solo da fiumi di parole.




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