venerdì 2 dicembre 2016

45 anni di Andrew Haigh (2015)

Nella loro “dimora” immersa nel verde della campagna inglese, Kate e Geoff (Charlotte Rampling e Tom Corteney) si preparano a festeggiare i 45 anni di matrimonio.
Il loro è un tranquillo rapporto consolidatosi col tempo in una routine fatta di intese silenziose, di affettuosa pazienza, di quiete complicità indulgenti, di amorevoli attenzioni reciproche. Le giornate scorrono rilassate, fra passeggiate nei campi (col cane Max libero da guinzagli), rimpatriate con ex-colleghi, thè con amiche o mogli di amici, rari shopping in città.
In una di queste giornate contrassegnate dal più sereno trantran, Geoff riceve dalla lontana Svizzera una lettera: decifrandola con fatica (è scritta in tedesco), viene a sapere che su un ghiacciaio alpino è affiorato il corpo ibernato di Katya, la sua prima fidanzata, precipitata in un crepaccio durante una loro escursione nei lontani anni ’60.
Geoff rimane inebetito dalla notizia e non riesce a nascondere la costernazione: a Kate che lo interroga comprensiva e partecipe, sussurra l’angoscia che lo assale nell’immaginare il corpo di Katya ventenne, restituito inalterato dai ghiacci, mentre il suo è deperito e appare malconcio e decadente, ingrigito e stanco, irrimediabilmente fragile e svigorito.
Kate, con la sapienza psicologica che ha acquisito nella lunga dimestichezza con le nevrosi coniugali, prova a confortare il suo smarrito Geoff, cercando di superare l’inevitabile stizza che l’assale nello scoprire questo ignoto amore giovanile del suo uomo. Ma quando vede che i suoi tentativi non hanno effetto e si accorge che Geoff si abbandona senza ritegno all’avvilimento e alla depressione, la stizza diventa risentimento. Il risentimento diventa poi incontenibile irritazione quando Geoff comincia a incupirsi, a chiudersi in sé, ad evitarla, a rimuginare memorie, cercare reliquie del passato, annegare dentro inconfessate nostalgie ripescando antiche foto e sfogliando preistorici quaderni di viaggio.
Kate percepisce di aver dedicato l’intera vita a questo rapporto ma di essere stata “seconda” e secondaria (e forse si accorge anche di quanto sia assonante il suo nome, Kate, con quello della scomparsa/riapparsa Katya). Per capire meglio, per valutare l’ingombro e la consistenza di questo antico amore (e forse per riconsiderare da queste nuove prospettive il reale senso di tutta la sua vita, più che per trovare modi ormai inutili per aiutare il povero Geoff), Kate inizia una sua riservata indagine: rovista fra i ricordi del marito, spalanca bauli sigillati da mezzo secolo, apre lettere, sfoglia diari, legge biglietti, esamina souvenir, studia fotografie e diapositive. Ogni dettaglio che emerge dal passato allunga un’ombra sul presente, ogni cimelio offre un’informazione, ogni informazione apre un’incrinatura. (La scena paradigmatica del film è quella che inquadra Kate che proietta le vecchie diapositive negli angusti spazi del solaio di casa: la metà sinistra del quadro è occupata dalla figura della Rampling seduta, ben illuminata, perfettamente a fuoco con le sue rughe e il suo sgomento; l’altra metà del quadro è occupata dal telo su cui si intravvedono in trasparenza le immagini sbiadite di Katya).
  
Geoff affonda nella consapevolezza di aver consumato la vita seppellendo e congelando le effervescenze della giovinezza; ed è avvilito dal declino più che dal sospetto di essersi rassegnato a un rapporto di ripiego.
Kate vede sgretolarsi davanti agli occhi – incredula, rabbiosa – le ordinarie sicurezze pazientemente organizzate nel corso della sua vita. E improvvisamente tutto per lei perde senso (quando deve indicare le musiche che faranno da sfondo alla festa del 45° anniversario del suo matrimonio – i picchi emotivi degli anni migliori, la colonna sonora della sua vita sentimentale – detta i titoli come se stesse facendo un’ordinazione al garzone del salumiere). 
Entrambi inoltre titillano rammarichi per una vita che avrebbe potuto essere e non è stata. (Ma chi, facendo i consuntivi, non si ritrova a nutrire nostalgie “per un bacio mai dato”, per la giovinezza lontana, per i luoghi lasciati e ora irriconoscibili, per progetti mai realizzati? Si sa: i sogni svaniti sono sempre più fulgidi della realtà inappagante che viviamo).

I due provano a voltare pagina, a ritrovare il quieto tepore di una vita; e cercano le occasioni rivelatesi magiche nel passato: una musica, un ballo, la complicità data dalla consuetudine, l’intimità. Ma l’ingombrante convitata di ghiaccio non aiuta certo a dissolvere le loro angosce: lui vede ovunque intorno a sé i segnali del finale di partita; lei viene assalita dalla inaspettata consapevolezza di essere stata premurosa compagna di viaggio di un estraneo; in ambedue affiora il sospetto di essersi sorrisi coltivando pensieri diversi, di aver consumato l’intera vita condividendo tutto fuorché il fulcro profondo della affettività.
Il groviglio emotivo in cui annegano non è del tutto decifrabile. Si manifestano più evidenti i loro rapporti asimmetrici: Geoff diventa ancora più assecondante e insicuro (ma nello stesso tempo è snervato da questa sua debolezza); Kate appare più determinata e funzionale (che comincia a dubitare della sua efficacia terapeutica). Riemerge forse per tutti e due il rammarico sempre taciuto per la mancanza di figli (che pareva superato ma ricompare quando Kate scopre che Katya era incinta al momento dell’incidente). Prende significato la loro disattenzione nei confronti della costruzione della memoria familiare (non conservano foto della loro esistenza comune); perde invece significato la consuetudine alla parola (mentre si ingigantiscono i silenzi, più eloquenti di mille parole).
Il commosso discorso di Geoff alla festa di anniversario sembra risolvere tutto: è sincero, ma forse ormai inefficace. E non sappiamo se le lacrime che appaiono sul viso immobile di Kate siano di commozione (per la riappacificazione) o di disperazione (per la assolutamente incancellabile disillusione). Tutti siamo consapevoli che il rimosso pesa e il non detto assorda; che i fantasmi sono indissolubili; e che le ferite dell’anima non si rimarginano.

Dei protagonisti, premiati a Berlino con l’Orso d’oro per l’interpretazione, ho apprezzato i movimenti, i gesti e gli sguardi (l’apice del film è per me il primo piano della Rampling a letto, con gli occhi sbarrati nel buio).
Della regia è rilevante la scelta della lentezza, della sottrazione, della compressione emotiva che si determina nei silenzi.

Ho controllato il testo di “Smoke gets in your eyes", il brano dei Platters che ricorre nel film e lo conclude: nella seconda strofa dice “quando il tuo cuore è acceso, devi renderti conto che hai del fumo negli occhi”; e alla fine ribadisce che anche “quando la fiamma d’amore si spegne, tu hai del fumo negli occhi”.

La citazione di Kierkegaard è marginale ma non casuale.
Bergmann e Haneche non sono citati.


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