venerdì 17 maggio 2013

La città ideale (2012) di Luigi Lo Cascio



Michele (Luigi Lo Cascio) è un giovane architetto siciliano che ha scelto di abitare a Siena, città ideale, a misura d’uomo, nella quale è possibile convivere in armonia con la natura. Da ecologista convinto (con qualche tratto maniacale) e con accorgimenti creativi (talvolta sconcertanti) tenta di trascorrere un anno alternativo ad impatto zero: non consuma energia elettrica (anzi, la produce, pedalando), recupera ed utilizza l’acqua piovana; si sposta a piedi o in bicicletta; combatte con spirito missionario una sua personale battaglia contro gli sprechi, il fumo, l’inciviltà, il pressapochismo ed il consumismo superficiale.
Un piccolo incidente stradale lo mette in una situazione un po’ intricata nella quale s’impegola sempre più a causa della sua cristallina trasparenza, dell’incapacità ad accettare compromessi, della repulsione intransigente verso scappatoie.
Questo tenace attaccamento alla verità e la sua stessa innocenza lo rendono ancora più incriminabile; anche la stranezza del suo stile di vita (estraneità) aggrava i sospetti degli inquirenti (inquisitori) che guardano con diffidenza questo alieno (alienato) che non conosce le regole della convivenza (convenienza).
Un tipo così non solo deve dimostrare la sua incolpevolezza ma è tenuto anche a giustificare la sua “anormalità” che ai normali, a quelli che stanno alle regole del gioco, appare esasperante, ai limiti del masochismo.
Ma Michele è un idealista testardo e rigoroso, un rigido utopista che non baratta la coerenza con la convenienza: abituato ad affrontare l’insofferenza e i dileggi dei colleghi senza fare una piega, non ammette il ricorso a sotterfugi; addestrato a resistere alla commiserazione dei vicini, non accetta di assecondare comportamenti ambigui; possiede la quieta energia che serve per affrontare i sospetti dei poliziotti malfidenti e le insinuazioni degli investigatori.
Come l’Idiota dostoevskiano (o come l’ingenuo e puro Aleksej Karamazov) Michele è buono, limpido, puro di cuore: dice sempre la verità, anche quando non gli conviene. Resiste e sfida le pressioni di avvocati azzeccagarbugli e di giudici diffidenti. Sceglie la linea del candore. Mantiene un comportamento coerente e lineare, anche quando gliene derivano danni. Rifiuta l’omologazione. Non conosce l’opportunismo, non riesce nemmeno a immaginare che sia possibile mentire per ottenere vantaggi. E affronta stoicamente, con sconforto e stupore, le conseguenze della sua linea di difesa che si basa sull’inflessibile sincerità, rimandando ad un inevitabile domani il momento in cui sarà necessario prendere consapevolezza che la città ideale non è altro che un luogo mentale dentro cui è bello galleggiare prima di essere inghiottiti dal pantano della realtà.

La regia è ambiziosa, non ordinaria, leggera e matura nello stesso tempo.
Lo Cascio, autore anche della ottima sceneggiatura, si muove abilmente in bilico fra quotidianità e assurdo. Alcuni momenti assumono la irreale colorazione del grottesco o sfumano nell’onirico. La trama labirintica e certe situazioni insensate, le atmosfere buie e claustrofobiche ed alcuni dialoghi lunari inducono a cercare paragoni con Kafka, Pirandello, Sciascia.
Sorprendente la raffigurazione dei personaggi di contorno, tutti appena abbozzati ma vividi nella loro caratterizzazione; tutti pensati – e sufficientemente capaci, pur nelle loro effimere apparizioni – di rivelarci angolazioni sostanziali della personalità del protagonista: il poliziotto infatti palesa la ritrosia di Michele (paesano spaesato) a cercare accomodamenti in nome della comune sicilianità; la misteriosa statuaria inquilina (inquietante) svela le immaginazioni erotiche dell’apparentemente algido architetto e la sua paura ad abbandonarsi alle emozioni (sublime la scena in cui lei bussa inutilmente alla sua porta); la vecchia mamma dolente e ansiosa (interpretata dalla madre di Lo Cascio) ci dice tutto dei tenaci legami familiari che sopravvivono alle urgenze di emancipazione; e l’avvocato intrallazzatore di Palermo (interpretato dallo zio del regista) rimarca l’avversione di Lo Cascio per la furbizia (e per la vittoria) a scapito della verità.

Efficaci le predominanti scene notturne, a dirci con estrema potenza che la città ideale evocata dal titolo è in verità un covo oscuro abitato da infidi esseri impegnati a mentire a se stessi e agli altri.
Singolare la scena finale, con i giovani commessi di tribunale impegnati a lanciarsi faldoni di archivio rimpallandosi i destini in essi contenuti.
Coerentissimo il finale, sospeso. Tutti sappiamo quali sia la conclusione della storia di chi parte alla ricerca della verità.










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