sabato 19 gennaio 2013

The Master (2012) di Paul Thomas Anderson



Freddie (Joaquin Phoenix) è uno psicopatico reduce alla deriva, alcolizzato sfatto, erotomane ossessivo e disadattato irrecuperabile, stabile nella sua follia e saldo nella sua stravaganza.
Di ritorno dal fronte sul Pacifico della seconda guerra mondiale, incontra un altro suo simile – Dodd (Philip Seymour Hoffman) – che in fatto di solitudine e sradicamento, di inquietudini e pulsioni incontrollate non è da meno; Dodd però, diversamente dallo scombinato Freddie, gestisce i suoi squilibri e non riuscendo ad adattarsi alla normalità, tenta di ritagliarsi uno spazio e di adeguare una porzione di mondo a sé, vestendo i panni di un guru (che con estrema evidenza ricalca la figura di Ron Hubbard di Scientology), deciso a piegare gli altri per compiere una rivoluzione planetaria, edificare una nuova società, fondare una nuova religione, creare una nuova scienza, ideare una nuova umanità.
Fra i due scocca imprevedibile la scintilla e nasce un ambiguo e perverso legame di interdipendenza.
Il guru carismatico vede in Freddie - oltre che il proprio lato oscuro - l’animale da addomesticare, la cavia su cui sperimentare le sue tecniche di condizionamento, il caso disperato da pubblicazione scientifica.
Freddie - a cui è mancata l’autorevolezza di un padre e la tenerezza di una madre - cerca nel dogmatico e dispotico guru l’autorità paterna e nel suo entourage il calore materno e la sconosciuta sicurezza offerta dalla famiglia e dalle mura domestiche.
Il vagabondo si aggrega alla setta, ma il ruolo dell’adepto gli va stretto e il tentativo di recupero delle carenze affettive arriva fuori tempo massimo: dai suoi comportamenti sempre incontenibili appare evidente che la terapia intrapresa non attenua i sintomi e gli squilibri, non frena libido e furori; e che la redenzione appare impossibile, così come incorreggibile risulta il vizio posturale dello sgangherato Eddie che assume portamenti sghembi e andature sbilenche.

I due si attraggono e si respingono, ambiguamente, fra seduzioni fatali e repulsioni crude: facce opposte della stessa medaglia, rappresentazioni estreme del disfacimento e della simultanea volontà di palingenesi del sogno americano. Con Freddie ancorato alla realtà (la donna di sabbia?) e alla dura concretezza del presente ed il fanatico Edd manipolatore della verità, professionista della coercizione, subdolo fabbricatore di illusioni proiettato nel futuro e nell’utopia. Personificazioni, l’uno e l’altro alternativamente, di impulsi contrastanti: fuga dal presente e paura del futuro; anaffettività e voglia di tenerezza; sete di libertà e bisogno di un leader; attesa di regole e necessità di trasgressione; ricerca di protezione e urgenza di autonomia; lucidità autocosciente e obnubilamento alcolico; manipolazione e plagio e bisogno di verità; cupio dissolvi e brama di rigenerazione.

La recitazione dei due protagonisti è superba (ed è evidente che il film ha giocato le sue carte sulla straordinaria professionalità dei tre protagonisti); così come straordinaria è l’interpretazione di Amy Adams (la saldissima donna di Edd che riesce a far percepire la predominanza del suo personaggio, solo apparentemente marginale, con una recitazione scarna “di sottrazione”).
Le scelte registiche sono impeccabili, “autoriali”: dalle ambientazioni (stive claustrofobiche e oceani aperti, salotti vintage e deserti piatti, a raffigurare alternativamente oppressioni e voglia di libertà, ossessioni e redenzioni) alla colonna sonora; dalla fotografia (che evoca i colori un po’ eccessivi e falsi delle pellicole di mezzo secolo fa, perfino in alcuni graffi che sospetto intenzionali ...) al montaggio (col suo andamento ora convulso, ora indolente e prolisso, a creare smarrimento).
Alcune scene hanno una potenza che le rende indimenticabili (come quella iniziale sulla spiaggia, le claustrofobiche sedute, il piano sequenza del centro commerciale, l’incontro nel megalomane mussoliniano studio-hangar londinese o la sublime imprevedibile “fuga” sulla motocicletta nel
deserto dell’indocile Eddie, Frankenstein ribelle che manda all’aria l’autorevolezza di Edd e sancisce il fallimento della sua missione).


Lo schema narrativo è sgangherato, come il protagonista, e sarebbe facile pensare che l’incoerenza della narrazione sia il programmato ricalco delle incoerenze di Eddie.

E le inspiegabili sfilacciature della trama, a lungo andare (visto che il film dura due ore abbondanti), stancano: subentra la noia per i rallentamenti inspiegabili, l’irritazione per le inutili ripetizioni, il disorientamento per le elissi e i salti illogici.
Che siano anche questi i sofisticati intenzionali espedienti di Anderson per confonderci e farci sentire empaticamente smarriti? 

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