martedì 4 settembre 2012

Monsieur Lazhar (2011) di Philippe Falardeau



Montreal, Canada. Bachir Lazhar - un non più giovane immigrato algerino che ha la faccia da algerino e l’aria sperduta dell’immigrato - legge sul giornale di una maestra che si è impiccata in aula durante la ricreazione e si presenta alla direttrice della scuola per proporsi come supplente. Non ha mai insegnato e non ha titoli per farlo, ma riesce ad ottenere l’incarico esibendo un falso curricolo.
In classe, dopo le incertezze del primo impatto, riesce a trovare una certa disinvoltura, aiutato proprio dalla inesperienza che lo rende simpaticamente anticonformista, originale, alternativo; e grazie alla sua diversità, conquista gradatamente la benevolenza dei suoi alunni e instaura con loro un rapporto genuino, non viziato dalla rigidità dei formalismi, dalla ipocrisia delle convenzioni sociali, dalla aridità delle regole istituzionali e dalla insulsaggine delle consuetudini.
Con la sensibilità che possiede, acuita anche da tragiche esperienze familiari (la moglie, scrittrice progressista,  è morta insieme ai figli nel rogo della casa appiccato da fanatici integralisti), è in grado di affrontare con la necessaria e delicata attenzione anche il trauma vissuto dai bambini per il suicidio della loro insegnante. E lo fa malgrado i divieti delle autorità scolastiche (che scaricano sugli psicologi il compito di affrontare l’argomento) e l’indifferenza dei colleghi; nonostante l’opposizione dei genitori (che non accettano di essere sostituiti o scavalcati da un immigrato nei loro mal esercitati ruoli educativi); a dispetto delle naturali resistenze messe in atto da alcuni alunni (che non hanno gli strumenti necessari per affrontare il trauma, vincere le paure, liberarsi dei sensi di colpa, superare le crisi di panico, sottrarsi al senso di abbandono).  

Lazhar si finge insegnante e lo diventa nel senso più completo del termine; vive nella menzogna e riesce a smantellare un castello consolidato di ipocrisie.
In uno straordinario intercambio di ruoli con i suoi alunni (paradigmatico è il suo impegno a svolgere i compiti che assegna e ad accettare il giudizio della classe), insegna e nello stesso tempo impara - semplicemente - che per avere risposte è necessario porsi domande; che i sentimenti devono essere vissuti e non affrontati come fossero patologie; che i fatti accadono anche se si tengono chiusi gli occhi; che il dolore è un esperienza di vita, non è un incidente di percorso; che la morte non si cancella dipingendo le pareti e organizzando festicciole.  
Il paziente e disincantato maestro che ha subìto una perdita crudele, aiuta i suoi alunni ad elaborare un lutto atroce.  Ed avendo patito l’angoscia della solitudine aiuta i suoi bambini a superare lo strazio delle separazioni: quella da Martine Lachance, la maestra suicida, e quella che li a poco li allontanerà da lui, quando alla fine sarà smascherato come falso (?) maestro e licenziato.

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