martedì 31 gennaio 2012

La prima linea (2009) di Renato De Maria

Il film è curioso, sia per chi non sa nulla degli anni di piombo, sia per chi ha bisogno di uno sbrigativo ripasso per ricordarli; ma se sotto certi aspetti appare interessante, nella sostanza è piuttosto inconsistente.
Per promuoverlo e sostenerlo (prima dell’oblio e del prossimo ripescaggio televisivo, che sarà accompagnato da servizi, interviste, ricostruzioni, dibattiti e battages), è stata allestita la vetrina con il piacioso Scamarcio e la amata Mezzogiorno (belli e dannati), sono state assecondate le polemiche attorno al rischio di apologia (se ne parli, anche male, purché se ne parli), si sono sbandierate la eroica rinuncia alle sovvenzioni statali (provocata, è bene ricordarlo, dalla idiozia pura di un “ministro” che è tale, e cioè servitore, nel senso letterale del termine) e la prudente presa di distanza dell’autore terrorista redento (la quale fa bene al film e non fa male al libro).
Anche la confezione è furba: il film apre infatti con immagini agghiaccianti che hanno il potere di raggelare tutto il film, solletica la curiosità degli spettatori attorno alle misteriose abitudini dei terroristi clandestini (alloggi, spostamenti, contatti, …),  mostra l’ottusa crudeltà degli assassini che si muovono spettrali e smarriti come automi inconsapevoli (e, in definitiva, sono certamente dei criminali ma appaiono anche dei poveri cristi depressi e angosciati) e suscita facili emozioni aprendo spiragli sugli affetti dei brigatisti ante-conversione (vedi il dialogo-scontro di Scamarcio con l’amico barista, la sua affranta cena in famiglia, la infelice telefonata interrotta della Mezzogiorno con la madre).
Buono per la tv, insomma.
 

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