martedì 6 settembre 2011

La doppia morte di Quincas l'Acquaiolo (di Jorge Amado)

Quincas, con una scelta anarchica e libertaria, ha abbandonato il perbenismo di una famiglia piccolo-borghese per immergersi nella autenticità della vita della suburra di Bahia, fra ubriachi e prostitute. Ora, da morto, corre il rischio di essere recuperato dagli ipocriti parenti, restituito al grigio mondo civile e ripulito da lordure e peccati, per essere ricomposto e dignitosamente sepolto.
Viene però “salvato” da uno scombinato quartetto di amici - gli indimenticabili Negro Brillantina, Pettirosso, Piedivento e Comandante Martim - che lo riconducono nel loro e suo mondo, nelle osterie del porto e sul peschereccio di Capitan Manuel, per “rivivere” un’ultima notte di fuoco, fra solenni bevute di cachaça e scorpacciate di zuppa di razza. Il morto - coerentemente con la sua unica scelta esistenziale - decide di scomparire nel mare in tempesta, sussurrando alla sua bella Quitéria Occhigrandi: “Mi seppellisco quando voglio e all’ora che mi pare. Potete mettere via la bara per un’altra occasione. Non mi lascerò rinchiudere in un buco sottoterra”.

Può essere curioso confrontare il racconto di Amado con la novella di Pirandello “Il treno ha fischiato …” nella quale il protagonista, il computista Belluca, prende consapevolezza della sua condizione (”vecchio somaro, che tirava zitto zitto, sempre d'un passo, sempre per la stessa strada la carretta, con tanto di paraocchi”), ma non riesce a ribellarsi e liberarsi se non con la fantasia. ("C'era, ah! c'era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti, c'era il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui quel treno s'avviava...Mentr'egli qua viveva questa vita “impossibile", tanti e tanti milioni d'uomini sparsi su tutta la terra, che vivevano diversamente. Ora, nel medesimo attimo ch'egli qua soffriva, c'erano le montagne solitarie nevose che levavano al cielo notturno le azzurre fronti... sì, sì, le vedeva, le vedeva, le vedeva cosi... c'erano gli oceani... le foreste...").

On the road, di Jack Kerouac

Un libro scombinato e bislacco, stravagante ed eccentrico, scanzonato e cialtrone, provocatorio, senza mai essere indisponente. In alcuni passaggi è davvero esilarante. Le interviste ai vip sono folgoranti nella loro genialità.
Dalle pagine trapela ogni tanto qualche intento moralistico, ma l’autore sa occultare e camuffare bene le sua propensione pedagogica: si rimette la maschera del buffone e torna ad irridere tutti con la sua spiazzante ironia, a demolire tutto col suo istintivo sarcasmo.
In alcuni passaggi la satira assume toni amari e la desolazione sembra prendere i sopravvento, ma l’istinto beffardo tiene tutto sotto controllo.
Solo nel pezzo intitolato “Looney Tunes” il giullare mattacchione si lascia sommergere da una pena infinita e scrive sei pagine struggenti che da sole valgono tutto il libro.

Oltre il confine

Billy si allontana da casa per riportare sulle sue montagne una lupa feroce, esaltando e negando nello stesso tempo il bisogno di protezione che offre il luogo in cui si nasce, valorizzando e rinnegando il bisogno di indipendenza che porta ad allontanarsi dal nido.
Attraversa montagne e pianure, praterie infinite e paesi, strade e fiumi, boschi e deserti, alla ricerca di quel senso indefinito di libertà che si può trovare solo oltre il confine, dove finisce l'orizzonte. Incappa in poveri contadini generosi, in avventurieri sadici, cacciatori silenziosi, preti folli, vaqueros erranti, zingari filosofi, rivoluzionari allo sbando. Ascolta le loro storie. Conosce la solitudine e la violenza, la fame e la paura, la solidarietà e l'ingiustizia, l'egoismo e la poesia, la fatica e la tenerezza, il dolore e la morte.
Prende una direzione ma asseconda ogni digressione, ben sapendo che le digressioni - sulla strada come nella vita - costituiscono l'essenza di ogni percorso; e che la vita si sconta vivendo; e che il futuro lo si costruisce camminando, perché "ogni giorno è fatto dei giorni che l'hanno preceduto".

Cormac McCarthy, Oltre il confine, in Trilogia della frontiera, Einaudi 2008

On the road

Lo rileggo a distanza di qualche decennio (per vedere l'effetto che fa!).
È stato, si dice, il manifesto della bitgenerescion: lo è ancora, anche se - a questa distanza - si presenta un po’ agé (comme il faut), slavato e lacero come un décollage di Mimmo Rotella.
Confuso era e confuso resta, ma - a ben vedere - si tratta di una confusione intenzionale, da alterazione (come si fa a non capirlo?!): un trip in tutti i sensi, durante il quale è più che naturale perdersi.