mercoledì 3 marzo 2010

Carlo Pisacane, l'eroe ottuso.

LA STORIA CI INSEGNA CHE DALLA STORIA NON IMPARIAMO NIENTE - 4

Carlo Pisacane, patriota reso famoso da Luigi Mercantini nella poesia risorgimentale La spigolatrice di Sapri (quella che ha come intercalare "Eran trecento, eran giovan e forti ...e sono morti", il refrain che tutti gli ultracinquantenni conoscono a memoria), ci è sempre stato presentato come un eroe.
Nulla da eccepire sull’eroismo temerario.
Molto da eccepire invece sulla sua intelligenza rivoluzionaria o politica.
Giudicate voi.

Si imbarca il 25 giugno 1857 con ventiquattro compagni su un piroscafo di linea diretto a Tunisi (precisamente il Cagliari, della Società Rubattino). Il suo amico Rosolino Pilo con altri patrioti ha il compito di seguire il piroscafo su alcuni pescherecci trasportando armi e rinforzi; per non dare nell’occhio parte il giorno dopo, ma si perde.
Pisacane, senza le armi e i rinforzi assolutamente necessari, non cambia i piani: si impadronisce della nave, la dirotta su Ponza, libera i 323 detenuti (quasi tutti delinquenti comuni ), distribuisce loro le poche armi trovate nel penitenziario, li imbarca e, volenti e nolenti, li coinvolge nella sua avventura.
Approda vicino a Sapri, sulla costiera del Cilento; sbarca sventolando il tricolore; i patrioti sono assaliti e messi in fuga dalla popolazione locale che ha riconosciuto numerosi briganti fra i forestieri scesi dalla nave; dopo alcuni giorni un altro assalto dei contadini (a Padula) provoca 25 morti, mentre 150 rivoluzionari si arrendono e vengono consegnati ai soldati borbonici; i superstiti allo sbando vengono di nuovo assaliti dalla popolazione (a Sanza): 83 rimangono sul campo. Pisacane si suicida sparandosi con la pistola.
I suoi compagni, quelli scampati alla furia del popolo, sono arrestati, processati e condannati a morte; il re tramuterà la condanna capitale in ergastolo.

Pisacane non è solo sfortunato: sbaglia tutto perché parte da una convinzione balorda. Crede di poter liberare il popolo senza informarlo e senza coinvolgerlo (e cioè senza preoccuparsi della sua “educazione” e del consenso).
E lo fa con ottusa convinzione, teorizzando perfino questo suo assurdo modo di procedere.
In un suo libro intitolato Saggio sulla rivoluzione sostiene infatti che bisogna prima fare la rivoluzione, poi istruire il popolo («la propaganda dell'idea [è] una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero»).
Non poteva che fallire. Onestamente se lo meritava.


1 commento:

  1. In realtà chi doveva essere istruito e non poco era proprio lui...

    RispondiElimina