mercoledì 30 dicembre 2009

RECENSIONE (5) : Venti, trenta, quaranta

Il nuovo romanzo di R.A. – intitolato Venti, trenta, quaranta racconta, in estrema sintesi, di un triangolo.
Il protagonista maschile è un confuso trentenne (Mario) che si innamora pigramente di una dolcissima quarantenne (Marcella) e vive con lei una storia di tenerissimi affetti, appagante e tranquilla, finché non si profila all’orizzonte – irruente e disinibita, sfrontata e fragile – una ventenne (Marzia), che lo trascina in una faticosa ed strampalata avventura.
Mario pencola indeciso fra le due, anche se – almeno dal punto di vista logistico – non incontra problemi a giostrarsi fra la paziente Marcella, che non sa dubitare di lui e lo attende senza smanie, dolce e accogliente, e la irrequieta Marzia, che lo fagocita per delle mezze frenetiche giornate, gli sconvolge le notti, scompare e riappare puerilmente assente o invadente, possessiva o inafferrabile, atroce o leziosa.
Mario sente di non poter fare a meno del pacato affetto di Marcella, ma non sa immaginare la sua vita senza la disinvolta allegria di Marzia. Soffre di questa sua condizione di ambiguità, ma non vuole decidersi: gli pare di non essere in grado di troncare nessuna delle due relazioni, sia per quel che riceve, sia per quel che sente di poter dare. Non vuole mettere in crisi la solidità del suo rapporto con la donna e privarla della sua rassicurante presenza; e nello stesso tempo non vuole respingere la ragazza e mandare in crisi il suo precario equilibrio aggiungendo un ulteriore elemento di instabilità emotiva alla sua arruffata esistenza.
La storia ha un improvviso scarto quando Mario scopre casualmente che Marzia è la figlia di Marcella. Con mille cautele, senza smascherarsi, tenta di sapere di più, di indagare, di capire. Ma le due donne sono elusive, vaghe, reticenti. Mario capisce solo che – per qualche ragione oscura e dolorosa – si sono rabbiosamente separate, ... che il rancore che le ha allontanate – ormai da cinque anni – non consente loro di tentare un riavvicinamento, ... che considerano definitivamente sciolto il loro legame, ... che ognuna delle due ha dissezionato l’altra dalla propria esistenza.
Questa fissione, che potrebbe consentire in un certo modo a Mario di vivere due vite parallele, diventa invece una ossessione insostenibile, un tarlo, un tormento: la disperazione delle sue donne, che prima aleggiava quasi impercepibile, ore affiora da ogni gesto, trasuda dagli occhi e si espande, lo avvolge e lo intride. Mario non può restare, ma nemmeno sa svincolarsi. Capisce che Marcella e Marzia non possono essere parte della sua vita, ma che lui ormai è parte della vita loro. O forse, al contrario, percepisce che lui non sarà mai parte della loro vita e resterà un elemento separato da Marzia e Marcella che ormai sono la sua pelle e la sua anima.
Solo un deus ex machina inatteso e imponderabile potrebbe forse intervenire a sciogliere la situazione.

7 commenti:

  1. Il nuovo romanzo di R.A. gioca, ancora una volta, sul tema della scissione-proiezione di sè nella relazione con l'altro sesso. Indizio indiscutibile di ciò sono i nomi dei tre protagonisti: Mario, Marzia, Marcella: Più che di un triangolo si potrebbe parlare di un prisma di cristallo a base triangolare che, da Mario, riflette e rifrange tutte le possibili irradiazioni che lo legano a Marzia e Marcella, le quali sono irrimediabilmente "separate" nella vita, ma indissolubilmente "legate", volenti o nolenti, nel dato biologico inalienabile dell'essere madre e figlia. Ecco perchè Mario non vuole e non può rinunciare all'una o all'altra: ha bisogno di entrambe per riflettere in esse le due facce del Giano bifronte che egli è.
    Del resto non è nuovo incontrare nei romanzi di R.A., come in un labirinto di specchi, l'indagine di quelle parti "in ombra" della personalità di ogni individuo che si possono manifestare in molti modi: nel sogno, nell'arte, nel motto di spirito,ecc..
    Mario è davvero sé stesso e trova la sua unità solo nella relazione con entrambe; non potrà mai scegliere per l'una o per l'altra, non per le ragioni che egli si dà, ma perchè non vuole rinunciare alla sua integrità: diviso e imprigionato nella pericolosa e fragile rete dei suoi amori, rischia che il cristallo si frantumi in mille schegge impazzite.
    Non è raro trovare in letteratura riferimenti a questo tema classico; ancora una volta"Venti, trenta, quaranta" induce il lettore a riflettere su come il socratico "conosci te stesso" possa snodarsi lungo percorsi spesso complicati ed insospettati, soprattutto ai soggetti più sicuri di sé. Come accade, ad esempio, nel romanzo fiume n° 59 di G. Manganelli dove il protagonista incontra casualmente un altro sé stesso, trovandolo inaspettatamente molto diverso.
    Anche lì ricorrono i termini fondamentali "scissione" e "ombra": faticosissima può essere la ricerca di armonia fra luce ed ombra, fra giorno e notte, realtà e sogno.
    Tuttavia rinunciarvi non può che condurre, ben che vada,ad "una cupa malinconia".

    RispondiElimina
  2. Il commento n°1 del romanzo di R.A. è sicuramente splendido, ma tutto giocato dentro i confini della cultura occidentale classica, quella che pone l' "essere" al centro dell'indagine filosofica e che separa il "soggetto" dall' "oggetto", la "realtà" dal "concetto".
    Se invece leggessimo la storia alla luce della filosofia orientale buddhista, ed in particolare del concetto di inter-essere, l'interpretazione del romanzo, il suo significato sotteso, sarebbe molto più semplice, addirittura ovvio.
    Nessuno di noi "è", tutti "inter-siamo"; esistiamo cioè, e siamo definibili, solo nella relazione con l'altro, con gli altri.
    A supporto di questa tesi viene in aiuto la moderna psicologia, o meglio ancora, la psicanalisi, quando definisce la psiche il prodotto delle nostre relazioni passate e presenti.
    Perciò Mario, Marzia e Marcella sono l'emblema, enfatizzato dalla forma del romanzo, del concetto di inter-essere.
    Il mondo degli umani altro non è che una fittissima rete di inter-relazioni e di inter-connessioni in continuo cambiamento.
    Non analizziamo qui (il romanzo non lo contempla)l'influenza che sull'intreccio finissimo e mobilissimo hanno anche i fattori non umani. Limitiamoci al
    nostro romanzo e chiediamoci:"Non è forse nell'amore che si determina la più alta e più perfetta composizione di sè ?"
    Ai lettori l'ardua sentenza.
    anonimo n°2

    RispondiElimina
  3. Pensiero orientale. E va bene, non lo si può ignorare. Io però leggendo "Venti, trenta, quaranta" non posso non pensare al "simposio" di Platone ed, in particolare, alla tesi di Aristofane.
    Il nostro romanzo non ne è lo specchio fedele, ma l'idea di fondo (in un tempo lontano non esistevano i due sessi, ma maschio e femmina stavano insieme nello stesso corpo, poi....)mi pare possa introdurre opportunamente la riflessione. Buona lettura............
    Anonima n°3

    RispondiElimina
  4. Splendidi commenti.
    Tutti convincenti, anche se conflittuali.
    Le "interpretazioni" aggiungono senso alla trama illustrata nella recensione. E sono scritte meglio.
    Sono sempre più convinto che la frase di Saramago "Non si domandi pertanto al poeta ciò che ha pensato o sentito, è proprio per non doverlo dire che scrive versi" (L’anno della morte di Ricardo Réis) possa anche essere interpretata in questo senso: "Non chiedere al poeta che senso abbiano le sue intuizioni: non lo sa. Solo un critico gliele può spiegare!".

    RispondiElimina
  5. Sono grato ai lettori che hanno, fin'ora, commentato il romanzo di R.A. "Venti, trenta, quaranta".
    Finalmente, grazie a quelle riflessioni, comincio a conoscere me stesso. O me stessa?
    Timidamente A.R.

    RispondiElimina
  6. "Quante manfrine!" direbbe mia suocera.
    40+20=60:2=30
    Se Mario ha trent'anni e si innamora di una quarantenne, è matematico che abbia desiderio anche di una di venti.
    Sembra scadente logica matematica, ma se l'universo altro non è che un imperscrutabile disegno matematico non si rida della grossa e grassa semplificazione.

    Un matematico "molto impertinente"

    RispondiElimina
  7. Umberto Eco sarebbe d'accordo con la suocera del Matematico impertinente. Pietro Citati invece no. Forse.

    RispondiElimina