giovedì 5 novembre 2009

Coerenza padana

I padani – quelli genuini – possono apparire grezzi, ma la loro autenticità alla fine li rende simpatici ed apprezzabili. Sono legati alla terra e vogliono concretezza, capiscono quello che tocca da vicino la loro quotidianità, affrontano con senso pratico i problemi; hanno il mito dell’efficienza, amano il lavoro in sé e le cose ben fatte, e per la soddisfazione di farle bene le farebbero gratis; rispettano chi costruisce la sua fortuna con la fatica e la perseveranza e disprezzano chi ingrassa sfruttando il lavoro degli altri; cercano l’allegria e la convivialità, non conoscono rancori, sono sinceri ed espliciti fino ad apparire talvolta grezzi e poco educati; stabiliscono rapporti schietti e non amano i salamelecchi; odiano il clientelismo che induce gli utenti dei servizi pubblici a ossequiare untuosamente il travet di turno e permette all’impiegatuccio arrogante di far sembrare favore elargito una prestazione dovuta; non sopportano il pensiero aggrovigliato e odiano i cacadubbi; non amano l’odore dell’incenso; disprezzano la bolsa borghesia che impiega male le fortune accumulate dal nonno con le pezze al culo…

I leghisti all’origine hanno forse ben interpretato questa padanità e – proprio per questo – si sono creati attorno un consenso sostanzioso.
Ora però i dirigenti della lega si stanno allontanando dallo spirito originario, stanno ingannando se stessi e la loro gente, stanno – mi si perdoni l’enfasi – tradendo il popolo.

Quando si affacciano sulla piazza usano ancora i toni ruspanti dei padri fondatori. Per raccattare applausi e consensi e tener saldo il potere hanno trovato nuovi slogan: aizzano la massa contro rom ed immigrati e la plebe inveisce; invocano buste paga e bandiere differenziate e le camicie verdi inneggiano; insultano gli insegnanti meridionali e gli analfabeti esultano.
Ma quando lasciano il balcone e si siedono in salotto assumono le movenze degli spregiati politici: pianificano con astuzia cinica il consolidamento del potere, intrecciano alleanze per la spartizione delle cariche, distribuiscono favori per comprare consensi, vendono l’anima al diavolo.
Chi ha vinto al grido di “Roma ladrona” si allea col più viscido dei politicanti che è cresciuto corrompendo i potenti in declino, ha preso il loro posto, ha allargato il giro gli affari risparmiando le mazzette, ha perfezionato il concerto di interessi.
I capipopolo leghisti hanno infilato una china che li allontana, li ha allontanati definitivamente dalla padanità. Hanno usurpato, senza ragione e senza diritto, il titolo di padani. E sono falsi, sia quando indossano la camicia verde, sia quando indossano quella bianca, col fazzoletto verde al taschino.
È ora che qualcuno glielo faccia capire, alle prossime elezioni almeno.

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