martedì 10 novembre 2009

1954 - LA SCUOLA (2) : il dettato

L’inchiostro era conservato in un bottiglione sempre imbrattato, chiuso a chiave nell’armadio: solo il maestro aveva il potere, esclusivo e assoluto, di ordinarne la parsimoniosa distribuzione.
Ogni mattina il bidello ne versava una misurata quantità in tutti i calamai; ogni pomeriggio l’inchiostro avanzato veniva recuperato e riversato nel bottiglione, per evitare che seccasse in fondo ai calamai o che si depositasse in feccia melmosa e inservibile.
Nel giorno del “dettato”, che era fisso nel rigido orario settimanale delle lezioni, la dose di inchiostro veniva raddoppiata e la si consumava tutta nell’interminabile esercizio di lenta scrittura, incerta nel tratto, titubante nell’ortografia, irregolare nella dimensione, incostante nella inclinazione.

Le parole lunghe iniziavano con lettere robuste, piene e nere come la pece per il pennino appena inzuppato, e impallidivano gradualmente col defluire dell’inchiostro per terminare in un graffio quasi invisibile.
I pennini – a forma di foglia panciuta, di torre antonelliana, di manina con l’indice puntato – spesso ci tradivano: divaricavano improvvisamente le punte tracciando sottilissime rotaie, incespicavano su impercettibili ostacoli schizzando nuvole di minutissime macchie, raccoglievano e trascinavano invisibili peluzzi disegnando fettucce sinuose, scaricavano a tradimento la loro provvista in un’unica macchia piena, lucida, irrecuperabile.
I più diligenti fra noi portavano nell’astuccio una pezzuola grigia con la quale nettavano il pennino.
La carta assorbente, in fogli sbrindellati o in rotoli impiegatizi, faceva parte della dotazione obbligatoria, ma il suo uso richiedeva abilità non comuni. Nonostante la maneggiassimo con tutte le cautele, sotto la minacciosa sorveglianza del maestro, ci riservava sempre una sorpresa: spiattellava i tratti generosi di inchiostro trasformando le effe in artritiche farfalle; riempiva le pance delle pi e i deretani delle di; timbrava precedenti asciugature su fogli candidi; dimenticava
qualche invisibile segno fresco per regalarlo alle nostre maniche sdrucite.
Ogni pagina era la storia di una faticosa e impari guerra fra l’armonia desiderata e gli imprevedibili inciampi del destino.

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