lunedì 1 giugno 2009

1955 - I GIOCHI (parte 3): tòpoli (nascondino)

Un altro gioco che raccoglieva l’entusiasmo collettivo era il nascondino che si giocava soprattutto all’imbrunire, nelle miti sere di maggio.

Non mi piaceva “stare sotto”, uno contro tutti.
E non mi piaceva gareggiare nella corsa indiavolata con un incontenibile avversario pronto a travolgermi pur di arrivare prima di me alla tana.
Per questo preferivo nascondermi in un improbabile posto vicinissimo alla tana: rannicchiato in uno spazio spesso impossibile, mi raggomitolavo come un riccio o mi appiattivo come una sogliola, nascondevo la testa e chiudevo gli occhi convinto, come uno struzzo del luogo comune, di diventare invisibile; e dal mio buco ascoltavo quel che succedeva intorno, senza cedere alla tentazione di sbirciare, come facevano i miei amici impazienti, che per la loro insopprimibile curiosità si facevano immancabilmente beccare come tordi.

Sentivo la conta cadenzata e frettolosa (“dés-vint-trenta, …), le grida di chi correva a nascondersi, i richiami soffocati di chi dal nascondiglio chiamava gli indecisi, il silenzio sospeso dei primi momenti della caccia, il rumore lieve dei passi incerti del cercatore, quelli improvvisi e veloci del primo che si liberava correndo come un forsennato verso la tana; e poi sentivo i nomi gridati dei “tanati”, le corse, le urla di protesta per irregolarità o imbrogli, i ruzzoloni dei più frenetici, il vociare confuso, gli strepiti di chi sperava nel “libera tutti” dell’ultimo giocatore ancora nascosto.

Qualche volta la mia condizione di invisibilità era tale che i miei compagni concludevano la partita e ne ricominciavano un’altra dimenticandosi di me.
Ed io restavo accucciato nel mio nascondiglio, ad ascoltare smarrito la nuova conta, incerto se compiacermi per la mia astuta capacità mimetica o avvilirmi per la mia anonima superfluità.

Nessun commento:

Posta un commento